Gran parte della Romagna era già stata liberata, ma un maltempo impietoso frenava le operazioni su tutto il fronte. Era la fine di ottobre del ’44. Pioggia, fango e fiumi in piena rendevano impossibile l’avanzata dell’VIII Armata britannica e la scarsa visibilità limitava l’attività dell’aviazione. Poi, con il ristabilirsi delle condizioni atmosferiche si rinnovarono cruenti gli scontri. E attorno a Forlì fu l’inferno.
La condizione di vita diventa più tragica ad ogni ora in tutte le ville (frazioni nda) – si legge nel diario che il forlivese Antonio Mambelli dedica al quel periodo -, non si sa come ne ove seppellire i morti. Qualcuno prepara la fossa ai margini delle strade e nei campi, per approntare alla meglio una cassa si guastano perfino i letti, e talora nessuno si azzarda di recar soccorso ai feriti, tanto è la furia del fuoco dall’alto e l’artiglieria… una donna è morta dissanguata in un campo di Villafranca, poiché nessuno aveva osato tirarla in là.
I rioni di Ravaldino e Schiavonia sono i più colpiti dalle granate. e duri scontri si susseguono ai lati dell’aeroporto dove i tedeschi – scrive il Corriere Alleato dell’8 novembre – approfittando del maltempo avevano consolidato la loro difesa. In città, però, sono già molto calati di numero ma quei pochi, continua Antonio Mambelli: sfogano il loro odio e la libidine che li pervade. A Vecchiazzano uccidono e gettano in un pozzo nove persone, sei delle quali della sola famiglia Benedetti e a Carpinello due militari fanno irruzione in una casa colonica con le armi in mano intimando due ragazze di seguirli nelle stanze al piano superiore. La reazione della famiglia induce alla fuga il primo, mentre il secondo prende a sparare all’impazzata.
Il 9 novembre i tedeschi abbandonano finalmente Forlì, ma la loro ritirata lascia l’ennesima inutile impronta vandalica, un gesto che ancora oggi la città riconosce. A cominciare dall’una e 45 di notte, paurose detonazioni fanno tremare il centro storico e le costruzioni più alte crollano fragorosamente a terra. Le mine distruggono la torretta degli Uffici statali, il campanile del Duomo, il torrione dell’Acquedotto e la Torre dell’orologio. Quest’ultima si riversa sul Teatro comunale. La stessa sorte spetta al ponte di Schiavonia. Anche il campanile di San Mercuriale è stato minato, ma fortunatamente non salta in aria. Tot i sa che fop che sant ad Don Pippo a salvè e campanil – si legge nella Storia ad Furlè di Zambelli e Grifoni – mo incion e sà coma che fases… (Tutti sanno che fu quel santo di Don Pippo a salvare il campanile, ma nessuno sa come fece). E una simpatica vignetta ritrae don Giuseppe Prati (don Pippo). di fronte ad un tedesco, mentre con una mano offre un fiasco di vino e con l’altra nasconde un pesante martello.
Quella stessa mattina i carri armati fanno l’ingresso in piazzale Della Vittoria. Forlì è liberata – annuncia l’edizione straordinaria del Corriere Alleato – del 12 novembre – squadre di patrioti pattugliano le strade. Volantini e manifesti di rabbia e felicità compaiono numerosi. Ce n’è uno dal contenuto particolarmente intenso, del quale abbiamo tratto parte del testo dalla pubblicazione dell’Istituto Storico per la Resistenza dal titolo: La provincia di Forlì nella Resistenza e nella guerra di Liberazione. E’ firmato dai rappresentanti dei partiti comunista, socialista, democratico cristiano, repubblicano e d’azione e lascia trasparire il grande, giustificato, risentimento: Cittadini, i moderni Unni hanno lasciato la nostra città incalzati dagli eserciti dei popoli della liberazione. Non è valso, per la classe dirigente tedesca, oltre un millennio di evoluzione civile; sono ancora dei barbari come furono definiti dalla storia. Dopo averci depredato quanto potevano, saccheggiato, devastato senza giustificato motivo: dopo aver fucilato, impiccato e torturato belle e giovani esistenze, l’esercito nazista si ritira, risalendo verso la patria d’origine, con la stessa speranza dell’abisso che l’attende…
Per i forlivesi, che hanno visto la città profondamente segnata dai terribili bombardamenti alleati, dalle mine e dalle devastazioni tedesche, ci sarà ancora morte dal cielo. Il successivo 10 dicembre 1944 bombe germaniche distruggeranno e uccideranno ancora.
Guarda anche I giorni che seguirono la Liberazione.
Bibliografia:
Marco Viroli e Gabriele Zelli. I Giorni che sconvolsero Forlì. Società Editrice Il Ponte Vecchio. Cesena 2014.
Marino Mambelli. 900 forlivese, anzi italiano. Editrice La Mandragora. Imola 2011.
La Provincia di Forlì nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione. Edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza. 1979.