CANALE DI RAVALDINO

Canale di Ravadino1
Il canale di Ravaldino nei primi metri del suo percorso lungo oltre 20 chilometri. Foto anno 2014.

Il Canale Communis, dei Molini, dei Dindolini, de Marinaz, della Grata, di Roncadello…: il Canale di Ravaldino. Venti chilometri di storia e di vita forlivese a partire dal XIII secolo e forse anche prima.

Nasce da una derivazione del fiume Rabbi presso San Lorenzo in Noceto e il suo flusso è regolato dalla chiusa di Calanco. Dal punto d’origine, alla Porta Ravaldino, corre a cielo aperto per circa 7 chilometri in un percorso che copia sommariamente il tracciato del viale Dell’Appennino. I quasi 2.000 metri in centro storico, ad esclusione di brevissimi tratti, sono divenuti inesorabilmente sotterranei: nascosti da volte e solai che sorreggono strade, piazze e palazzi. Percorrerli alla luce di una torcia è un’esperienza molto suggestiva, ma difficilmente realizzabile.

Il percorso urbano del canale di Ravaldino.

Dopo essersi intrecciato con via Caterina Sforza e via Missirini, il canale si raccorda con corso Diaz e imbocca piazza Saffi passando sotto uno degli archi dell’antico, e oggi nascosto, Ponte del Pane. Il manufatto, probabile ricostruzione di un ponte romano, trasse il bellissimo nome popolare dalle “botteghe” che vi si affacciarono nel periodo medievale. Il Ponte del Pane consentiva alla strata maestra, l’attuale corso Garibaldi, di superare il canale che in quel punto scorreva, e ancora scorre, entro l’alveo di un’antica diramazione fluviale. Il Campo dell’Abate, l’attuale piazza Saffi, fu inglobato nella gestione cittadina nel XIII secolo. Il percorso prosegue sotto il palazzo municipale, precisamente sotto il loggiato che fu realizzato in ampliamento nella seconda metà del ‘400. Al momento della costruzione il canale era coperto da una sorta di tombinatura che Giovanni di Mastro Pedrino già chiama, nel XV secolo, l’antigo Ponte Buro. Superati i resti del ponte Buio, il canale giunge presso il palazzo degli Uffici statali dove sfiora un altro ponte: il Ponte dei Cavalieri o pons Militum che dava la possibilità alla Contrada Grande, odierna via Delle Torri di superare lo scomparso alveo fluviale e uscire dall’antico sito urbano. Il Canale di Ravaldino scorreva sotto una delle sue volte, ma al momento delle realizzazione del palazzo statale, è stato deviato e imprigionato in una scatola di cemento. Un po’ di corso Mazzini e a sinistra incontra il ponte di San Pietro in Scotto. Via Pedriali, affianco alla torre Numai (l’immagine di quel tratto, ancora a cielo aperto, è descritta in un delizioso acquerello di Romolo Liverani) per attraversare piazza Delle Erbe. Sotto via Dei Mille, la palestra di San Luigi. Via Molino Ripa e quindi fuori dalle mura, oltre viale Italia, fuori dalla Grata.

L’ultimo tratto scoperto del canale di Ravaldino in centro storico.

Poco più avanti il corso d’acqua torna ad essere visibile, imbocca la via per Roncadello, sfiora Barisano e raggiunge Coccolia in provincia di Ravenna. Termina la lunga corsa riversandosi nel fiume Ronco all’altezza del molino Spadoni.

Il Canale di Ravaldino è stato uno degli assi portanti della vita e dell’economia della città. Era il ramo principale della rete fognaria, collettore per il riempimento dei fossati delle mura e della Rocca, acqua per i lavatoi (all’ingresso in città l’acqua era ancora pulita) percorso per i trasporti. Ha irrigato gli orti, mosso le ruote delle gualchiere e dei mulini, fornito acqua alle concerie (callegarie) e ai maceri… Nel XV secolo, racconta Gianluca Brusi su Serallium Colunbe, la rottura della chiusa di Calanco danneggerà gravemente l’economia cittadina, perché l’arte della lana e tintoria dovrà gualcare i panni a Faenza. La chiusa sarà riparata con enorme difficoltà da due, quasi eroi, giovani forlivesi: Sante e Fabrino. Ma il corso d’acqua era anche un pericolo. Nelle sue acque gonfie e impetuose rischiò di affogare nientemeno che il giovane Gian Battista Morgagni, nato nel 1682 nella casa di via Missirini. Stava per finire ingoiato dalle oscure volte di un tratto sotterraneo: lo salvò un passante.

Il Canale di Ravaldino nei secoli venne affittato, concesso all’uso assieme ai molini sovrastanti, all’attraversamento, alla presa di acque e altro ancora. Sul dominio delle acque del canale – racconta Elio Caruso su Forlì Città e Cittadini tra Ottocento e Novecento ci fu alla fine dell’Ottocento una vertenza tra la pubblica amministrazione e l’ “Unione dei Molini di Ravaldino e Schiavonia” che ne reclamava la legittima proprietà. Ebbe ragione l’Unione che nel 1900 diede in affitto l’intero complesso (corso d’acqua e molini) alla Società Elettrica. La proprietà passerà poi all’Eridania Zuccherifici e quindi, nel 1976, al Comune di Forlì.

Bibliografia:
Elio Caruso. Forlì, Città e Cittadini tra Ottocento e Novecento. 3 volumi. Mario Lapucci Edizioni del Girasole. Ravenna, 1990/1992.
Gianluca Brusi. Serallium Colunbe – Enigmi e certezze per un’immagine di Forlì fra medioevo ed età moderna. Edit Sapim Forlì. 2000.

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