ABBAZIA DI SAN MERCURIALE

“San Mercuriale” rappresenta Forlì sull’ “Atlante delle Regioni d’Italia”. Emilia Romagna. Particolare. F. De Agostini, Roma 1951. Raccolta privata

L’abbazia di San Mercuriale è il monumento forlivese più famoso, l’icona della città. Il complesso religioso, sorto su di un sito più antico (V secolo?), si compone oggi di una chiesa a tre navate in stile Romanico (XII), del suo imponente campanile Lombardo (1178) e del chiostro di origine cinquecentesca completamente rimaneggiato nel 1940. Ma in antico gli sono appartenuti un monastero, un cimitero e un ospitale per l’accoglienza dei pellegrini. “San Mercuriale” si affaccia sulla piazza principale della città, nel cuore del centro storico. Quella stessa area mille anni fa era denominata Campo dell’abate ed era separata dall’Urbe da un ramo del fiume Rabbi, oggi ridotto a canale sotterraneo sotto il loggiato del palazzo comunale. Nulla o quasi di storicamente attendibile esiste sull’edificio del V secolo. Molte delle notizie che oggi abbiamo su di esso fanno riferimento alla tradizione e al confronto con situazioni omologhe nella straordinaria storia, sacra e architettonica, della penisola italiana. La storia di “San Mercuriale” è costellata di avvenimenti importanti e complessi, di eventi religiosi, politici, sociali e architettonici che hanno accompagnato l’evoluzione della città di Forlì per più di 1500 anni.

Le origini. Oltre il limite est della città romana, sul sito che la tradizione indicherà come l’antico sepolcreto dei vescovi forlivesi, secondo le ipotesi più accreditate il vescovo Mercuriale eresse, nel V secolo (?), una chiesa dedicata a santo Stefano, il primo martire della cristianità. Il testo più antico nel quale si afferma che S. Mercuriale fece costruire S. Stefano – Spiegano Calandrini e Fusconi – […] sembra sia la vita del santo scritta nel sec. XVI da un monaco, ricavandola dal “Liber Memorabilium” del monastero di S. Mercuriale. In quell’edificio lo stesso Mercuriale ebbe poi sepoltura per mano dei suoi discepoli, i santi Grato e Marcello. Ancora ipotesi, anche se molto contestate, suggeriscono che l’antica struttura ecclesiastica possa essere stata la prima cattedrale di Forlì e Mercuriale il primo vescovo.

Pianta dell’antica basilica di santo Stefano. Tratta dal volume “Forlì e i suoi Vescovi” di Calandrini e Fusconi.

E’ documentato che a partire da IX secolo i sacri muri ospitarono un monastero di regola benedettina i cui monaci, oltre a praticare l’ascetismo e la liturgia, professavano il culto del patrono della città: San Mercuriale appunto. Il monastero espresse forza e cultura tanto da diventare in fretta una  presenza importante e competitiva. Il 30 giugno 1159 l’imperatore Federico Barbarossa, su preghiera dell’abate Gervasio, prese sotto la sua protezione i beni del monastero, ma poi tra il 1169 e il 1173, dopo un breve periodo di decadenza, il monastero venne unito alla congregazione monastica di Vallombrosa. La quasi totalità dei documenti che testimoniano queste più recenti vicende sono raccolti nel cosiddetto Libro Biscia di San Mercuriale nel quale sono elencati gli atti dell’abazia a partire dall’anno 894. Il volume originale, assieme ad altri sullo stesso tema, è custodito presso l’archivio di Stato di Forlì.

Un incendio di grandi dimensioni, causato da aspre lotte tra guelfi e ghibellini, nel 1173 devastò, come raccontano Antonio Calandrini e Gian Michele Fusconi su Forlì e i suoi Vescovigran parte della città, quasi tutte le chiese, l’episcopio ed il monastero di S. Mercuriale con l’archivio e la chiesa. La scomparsa dei documenti ufficiali elevò la competizione tra la Cattedrale (Santa Croce) e il monastero sui diritti e sui confini territoriali delle rispettive giurisdizioni, tanto che i limiti dovettero essere interamente ricostruiti, per nulla pacificamente, all apresenza di un notaio. Ma se: un fuoco naturale aveva distrutto, un fuoco di carattere spirituale divampò nell’animo dei fedeli e donò vigoria per una nuova costruzione più grande ed artistica, degna di sfidare i secoli (Bruno Bazzoli e Sergio Selli: Abbazia S. Mercuriale).

La facciata della chiesa di San Mercuriale presenta una bifora. “Incoronazione della Vergine” di Baldassarre Carrari, 1512. Pala d’altare. Forlì, Pinacoteca civica. Particolare tratto da un pieghevole divulgativo.

Nel 1181 il vescovo Alessandro predicava già nella nuova chiesa romanica che, secondo quanto s’intuisce dalle testimonianze, doveva essere in fase di completamento. Allo stesso anno risale la prima pietra del maestoso campanile il cui costruttore fu il Magistro Aliotto, forse forlivese, su progetto di un certo Francisco Deddi architecture di cui però si dubita l’intervento e addirittura l’esistenza. Comunque straordinari, chiunque fossero gli esecutori, nella realizzazione di un’opera monumentale che ancora oggi impressiona. Per ovviare alle frequenti inondazione del fiume Rabbi, che correva nell’odierna piazza Saffi in un tracciato la cui parte centrale dell’alveo potrebbe corrispondere al loggiato del palazzo comunale, il nuovo complesso fu realizzato in quota maggiore rispetto al precedente. L’abbazia era indubbiamente ricca e potente se poteva permettersi una costruzione così costosa e vantare privilegi importanti come l’autonomia dall’autorità episcopale. Fu il vescovo Alessandro a concedere l’autonomia all’abbazia, a conferirle ingenti possedimenti e a concederle potere spirituale su altri territori. Alla morte di Alessandro i dissidi tra gli abati e i vescovi non tardarono ad emergere. Uno dei motivi di maggior contrasto pare essere legato alla custodia delle reliquie dei vescovi presenti in “San Mercuriale” e in particolare quella del patrono. Non era un caso, quindi, se fino al XVI secolo la chiesa possedeva due altari maggiori. Uno nella cripta e uno sopra, sul presbiterio. Nel primo officiavano i regolari, nel secondo i monaci.

Ricostruzione della cripta della chiesa del XII secolo. Sergio Selli. Tratta dal volume Abbazia S. Mercuriale. Bazzoli e Selli a cura della Cassa dei Risparmi di Forlì, 1960. Raccolta privata.

Rifacimenti e modifiche furono apportate nei secoli successivi: alla facciata e alla pianta. Una pala d’altare dimostra chiaramente che sulla facciata, al posto dell’attuale rosone circolare, nei primi del ‘500 era presente una bifora. Il quadro è “Incoronazione della Vergine” di Baldassarre Carrari, un tempo collocato sull’altare maggiore della chiesa e oggi conservato nella pinacoteca civica (vedi particolare fotografico sopra). Due piccole cappelle presero posto sul fronte ai lati dell’ingresso principale e un atto del XIV secolo fa menzione di un protiro al quale due mensole a goccia ai lati del portale sembrerebbero appartenere. Il leone in sasso, corroso dal tempo e dalle intemperie che troviamo all’interno della chiesa potrebbe proprio essere uno dei due leoni che sorreggevano le colonne del protiro alla moda delle chiese di stile romanico-lombardo.

Nel 1505 l’abside romanica crollò distruggendo la cripta e travolgendo di conseguenza le reliquie del santo Mercuriale. Una delle ipotesi sulla causa del disastro racconta di persistenti litigi tra regolari e monaci anche su chi avrebbe dovuto spendere per la manutenzione del tetto del presbiterio. Certo è che, come racconta Bruno Bazzoli: il clero secolare, che aveva già cominciato a dare importanza al culto di San Valeriano, lo proclamò addirittura patrono. Le processioni di S. Mercuriale avevano cominciato a dare luogo a tali litigi che si dovette finire col murare le sacre reliquie in modo che non si potessero estrarre. L’abside crollata fu subito ricostruita, senza cripta e con un altare maggiore unico. Metafora di riappacificazione dei religiosi?

L’abside cinquecentesca di “San Mercuriale” nel dipinto “L’Immacolata col Padre Eterno e Santi” di Marco Palmezzano. Cappella “Dei ferri”. Pala d’altare commissionata nel 1510. Particolare tratto da un pieghevole divulgativo.

Già nel 1575 partirono i lavori di ampliamento del presbiterio con la realizzazione di un nuovo altare. L’abside settantenne, che probabilmente fu realizzata in fretta in attesa di disponibilità economiche di maggior rilievo, risultò angusta e non illuminata. Con molta probabilità è la stessa che il pittore forlivese Marco Palmezzano ci tramanda nella splendida pala che impreziosisce la cappella Dei ferri: “L’Immacolata Concezione” (vedi particolare fotografico sopra). La realizzazione del nuovo presbiterio fu iniziata da mastro Giacomo da Faenza e poi conclusa da maestro Bastiano da Bologna e maestro Tommaso da Forlì. Interessante è il motivo per cui l’abside fu costruita di forma rettangolare. Cioè per collocare comodamente lo splendido coro ligneo realizzato con quella forma da Alessandro Begni una quarantina d’anni prima. Ancora oggi è in splendida forma: il coro. In quel 1575 furono anche sistemate le reliquie del patrono nella posizione attuale, cioè nella cappella della famiglia Mercuriali sul fondo della navata di destra e, sempre in quel periodo, anche al chiostro vennero dedicati lavori di ampliamento e trasformazione. Furono realizzate anche una trentina di lunette, opere che oggi a fatica riconosciamo.

La chiesa di San Mercuriale, con aspetto barocco, prima dei restauri novecenteschi. Cartolina spedita nel 1917. Raccolta privata

A partire dal 1646 la facciata romanica venne trasformata in barocca con un intervento che la fece diventare “moderna”. All’esterno fu realizzato un sagrato ottagonale attraverso il quale, grazie a tre gradini, si accedeva all’ingresso. Furono eliminate le due cappellette sulla facciata e al loro posto apparvero due accessi diretti alle navate laterali e due finestre incorniciate che garantirono migliore illuminazione interna. Venne aperta una grande lunetta centrale proprio sopra l’ingresso principale e due mensoloni rovesciati (riccioli) furono applicati sui muri delle navate minori. Alla fine del ‘700 fu tolta la scalinata esterna per fare posto ad un sagrato a spiazzo contornato da fittoni collegati da catene. Cosi, con qualche restauro per i terremoti e alcuni adattamenti stilistici interni, la chiesa arrivò, bella ma piuttosto “stanca”, ai primi del ‘900. La venuta di Napoleone a Forlì, evento che porta la data del 4 febbraio 1797, decretò l’allontanamento dei monaci e la restrizione di “San Mercuriale” a semplice parrocchia. Il monastero divenne edificio dello Stato e in seguito ospitò molti uffici pubblici. La chiesa subì il danno dell’incuria e il rischio di chiusura per la sua evidente pericolosità.

La facciata di “San Mercuriale” sottoposta ad un corposo riordino stilistico. Immagine tratta da “La Piè del 1920.

Tra il 1915 e il 1921, sotto la guida del soprintendente della Romagna Giuseppe Gerola,  furono effettuate le demolizioni di alcune cappelle laterali. Ma l’intervento più significativo e coraggioso fu quello che interessò la facciata. Furono infatti rimossi i “fronzoli” barocchi riproponendo le linee pulite del romanico. Furono chiusi gli ingressi alle navate secondarie e al posto della lunetta fu inserito il rosone circolare. Infine fu ripristinata la scalinata esterna. Il restauro durò parecchio tempo e nel 1920 un  redazionale de La Piè  racconta: Compiono fra poco sei anni (diconsi sei) dacchè la facciata della chiesa di S. Mercuriale elabora nel segreto di una impalcatura oltre schermi di graticci e tavolati, la sua faticosa toilette architettonica per cui dovrà, in un remoto domani, rivelarsi “pura” senza i deturpamenti di stili bastardi. Il buon pubblico forlivese non si direbbe troppo ansioso di assistere all’inaugurazione del ripristino. S’è ormai abituato (a che cosa non ci si abitua in provincia!) a vedere la mascheratura che gli cela il febbrile lavoro ricostruttivo e si compiace del “lieto rumore” dei suoi monelli che fan l’altalena sulle catene che limitano il sagrato. 

Con la demolizione di alcune cappelle, avvenuta nel 1921, il bellissimo campanile di San Mercuriale ritrovò l’originaria distanza dalla chiesa. La grande torre “lombarda”, che nei secoli fu più volte restaurata causa importanti terremoti, nel 1941 ebbe il riconoscimento che il regime fascista riservava ai grandi monumenti. Fu infatti completamente isolata grazie all’abbattimento di parte dell’antico chiostro. Fu un’operazione deprecabile che, in piccola dimensione, rappresenta un’epoca italiana in cui interi quartieri settecenteschi, preziosi e abitati, furono abbattuti, soprattutto a Roma, per fare spazio ai monumenti deputati alla memoria gloriosa. Forlì offrì il proprio simbolo più importante. Il chiostro fu quindi arretrato per liberare la scena al campanile e fu interamente reinventato per diventare luogo di transito verso piazza XX settembre dove sarebbe sorto il nuovo palazzo di Giustizia: uno dei simboli dello Stato. Anche il bel palazzo del monastero, che si affacciava sulla piazza (divenuto di proprietà dello Stato nel periodo napoleonico) fu abbattuto. Era il cosiddetto palazzo della “Regia Intendenza di Finanza”. Al suo posto rimase per molto tempo uno spiazzo che fu poi colmato dall’edificio progettato dall’architetto milanese Portaluppi: il “palazzo della Ras”.

Sulla destra, con il colonnato, la “Regia Intendenza di Finanza” nella piazza principale di Forlì. Palazzo settecentesco appartenuto ai Vallombrosani. Cartolina spedita nel 1915. Raccolta privata.

La seconda guerra mondiale non risparmiò la piazza principale di Forlì. I bombardamenti degli alleati, oltre ad abbattere la statua di Aurelio Saffi, danneggiarono profondamente alcuni edifici, tra i quali la chiesa di San Mercuriale. Il pericolo di crollo delle volte secentesche fu il motivo per cui ebbero inizio i nuovi lavori nella chiesa. Il genio Civile demolì infatti i “controsoffitti” intonacati ritrovando il grande volume romanico della navata centrale e le impronte delle finestre prossime alla capriata. Come sempre accade – scrive Sergio Selli – se una parte di individui credeva opportuno un restauro, tanti altri però erano affezionati a quelle forme ibride e stridenti che si erano venute a formare con l’accozzaglia dell’espressione di diverse epoche poste una vicino all’altra… Il restauro proseguì coraggiosamente.

Furono demolite numerose cappelle devozionali laterali, vennero ricomposti i capitelli e nella ricostruzione furono proposti gli archi sovrapposti (di cui non vi era più alcuna traccia) che sorreggevano il presbiterio caratterizzando la cripta. L’intervento, che si rese possibile grazie all’interessamento della Cassa dei Risparmi di Forlì, portò alla luce l’antico impianto della basilica di Santo Stefano. Tolto infatti il piano di calpestio secentesco, si presentò un riempimento di materiale alluvionale (l’antica vicinanza del fiume ne giustifica la presenza) che copriva la base delle colonne alto medievali, gli innesti della piccola abside e i pilastri che supportarono il mausoleo di San Mercuriale e dei suoi seguaci: San Grato e San Marcello. I pavimenti furono poi ripristinati utilizzando il materiale originale integrato nelle mancanze con materiale identico. Fu così ricomposta l’abbazia romanica di San Mercuriale, il monumento forlivese più famoso. L’icona della città.

“San Mercuriale”. Foto anno 2004.

Opere Principali

  • Lunetta romanica sul portale: l’Adorazione e il sogno dei Magi (1230 circa) attribuita al maestro dei Mesi di Ferrara.
  • Monumento a Barbara Manfredi (XV): di Francesco di Simone Ferrucci da Fiesole (1476).
  • Cappella Mercuriali (XVI): affrescata da Livio Modigliani e reliquie di san Mercuriale conservate in un’urna lignea collocata sotto l’altare.
  • Cappella Dei ferri (XVI): con la grande pala dell’Annunciazione di Marco Palmezzano (XV).
  • Avanzi della basilica di santo Stefano nella cripta (V). Non visitabili.

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