La Cattedrale di Santa Croce è la sede del vescovo di Forlì-Bertinoro, al suo interno è conservata l’immagine sacra della Madonna del Fuoco, patrona della diocesi.
Fu il giovane architetto forlivese Giulio Zambianchi, con un intervento del 1841, a donare alla Cattedrale il fascino della solidità, dell’imponenza classica e della meraviglia che oggi si ammirano in piazza Del Duomo a Forlì. Fu un intervento che trasformò radicalmente l’ormai contaminato impianto di stile romanico-gotico di un edifico al limite della rovina. Entrare in Duomo oggi significa immergersi in un’atmosfera che tracima arte e classicità cristiana. Indistruttibilità, ricchezza e imponenza sono le sensazioni che la costruzione sacra trasferisce al visitatore. Della fabbrica precedente rimangono solo la cappella del Santissimo Sacramento nella navata di destra e la meravigliosa cappella della Madonna del Fuoco nella navata di sinistra.
Le origini di Santa Croce non si conoscono. Si parla però di una plebs liviensis, che gli studiosi riconoscono come il duomo, già nel X secolo. E il cronista Sigismondo Marchesi nel 1678 la racconta come esistente ben prima del 1200, ma si azzarda un primo impianto già nel Quinto secolo. Ma perché Santa Croce? Nel XVII secolo Paolo Bonoli scrive: La cattedrale intitolata a s. Croce a motivo di conservarvisi parte assai grande della croce di N. S. della quale ve n’ha pure reliquia in sette altre chiese della città. Ancora oggi la reliquia è conservata, assieme a numerosi altri importanti simboli cristiani, nella “Sala del Tesoro”.
Il Duomo sorge su quella che era la piazza principale della città, luogo in cui si svolgeva il mercato e dove si dirigeva la giustizia. Con tutta probabilità quello spazio pubblico corrispose proprio al sagrato dell’edificio religioso. Poi, nel 1212, a seguito di un contratto di enfiteusi stipulato tra il “Municipio” e San Mercuriale, la sede del mercato fu collocata ufficialmente sul vicino Campo dell’Abate, la nuova grande area pubblica che diventerà piazza Aurelio Saffi. Assieme al mercato migrarono nel nuovo spazio politico-commerciale gran parte degli interessi della città. Fu questo un avvenimento destinato ad amplificare la forza politico-religiosa dell’abbazia di San Mercuriale nella vita della città, a volte in acceso contrasto proprio con il potente Duomo.
Ripristinata dopo un violento incendio che nel 1173 coinvolse gran parte della città, la Cattedrale doveva comunque apparire di aspetto dimesso. Tanto che, all’inizio del Quattrocento, gli abitanti di Forlì vollero al pari delle città vicine che la loro cattedrale per grandezza, e per architettura primeggiasse sulle altre Chiese della città stessa. A tale effetto dal 1428 colle largizioni proprie, e di mons. Domenico Capranica preside allora della Provincia diedero aumento all’antichissima che vi esisteva riducendola a tre navate come oggidì vediamo. Quell’ “oggidì” è antecedente il 1838, anno in cui il Casali pubblicò la preziosa guida per la città di Forlì da cui sono tratte le precedenti righe. Il Casali la descrive quindi nelle sembianze che mostrava prima della trasformazione neoclassica dell’architetto Zambianchi soffermandosi a descrivere le numerose opere d’arte. Ma rimaniamo ancora in quel lontano XV secolo. La chiesa voluta da Capranica fu realizzata a tre campate con altrettante cappelle terminali, quella di sinistra dedicata a San Valeriano (patrono di Forlì) e quella di destra, l’attuale battistero, dedicata a San Bartolomeo. Giovanni di Mastro Pedrino, cronista coevo, racconta che per la costruzione fu riservata la fornaxe del comuno che era apresso la porta de Sciavania. Fu consacrata a Santa Croce e a San Valeriano. Era il 1475. Ulteriori cappelle e altari saranno realizzati in seguito.
Giovanni di Mastro Pedrino testimonia ancora che il 6 gennaio 1464 Marino Cedrini (Marinus Citrinus Venetus) siglò il contratto per la realizzazione del portale della nuova chiesa di Santa Croce. Lo stesso Giovanni, assieme al figlio Cristoforo, assistette alla firma dell’accordo. Il bellissimo portale centrale verrà rimosso con il rifacimento ottocentesco per essere poi sistemato, molti anni dopo, sulla facciata della chiesa della Madonna del Carmine. Su di un ingresso laterale del Duomo fu inoltre realizzata, ad opera del “Maestro delle Madonne di marmo” la lunetta con la Madonna e il Bambino tra gli Angeli, oggi in mostra nei musei San Domenico.
La cappella già della “Madonna della ferita” oggi del SS. Sacramento (laterale alla navata di destra), sorse grazie ad una committenza prestigiosa. Fu infatti Caterina Sforza, fervente devota al culto di quell’immagine, a chiedere all’architetto Pace di Maso del Bambase, lo stesso che realizzò magistralmente l’oratorio di San Sebastiano, di realizzare la costruzione che ebbe inizio nel 1490.
La cappella della Madonna del Fuoco (laterale alla navata di sinistra) fu invece costruita tra il 1619 e il 1636 su progetto dall’architetto e monaco faentino Domenico Paganelli. Fu il vescovo Cesare Bartolelli a posare la prima pietra di quella che sarà la sede definitiva e prestigiosa dell’immagine del miracolo. La sua cupola ottagonale fu affrescata da Carlo Cignani con un impegno ventennale che sbocciò in capolavoro nel 1706. Assolutamente da visitare.
I danni del tempo, uniti a quelli delle successive modifiche strutturali, condussero la Cattedrale ad un punto di preoccupante degrado. Nei primi dell’Ottocento al suo interno vi erano opere d’arte di prestigio che in parte ritroviamo oggi nella pinacoteca civica come la “Gloria di san Mercuriale” e la “Gloria di san Valeriano”: dipinti al sotto in su da Guido Cagnacci nei primissimi anni del Seicento e numerose opere di importanti artisti locali come Marco Palmezzano e Francesco Menzocchi. Ma la fabbrica stava soffrendo strutturalmente. Gli interventi di ristrutturazione dei primi decenni dello stesso Ottocento furono veri palliativi. Lo leggiamo a chiare lettere sul libro di Domenico Brunelli (monsignore, arcidiacono) e Angelo Zoli (canonico, teologo) dal titolo: Cenni storici sulla Cattedrale di Forlì edito nel 1882: i ristauri – scrivono gli autori – non fecero altro che nascondere il pericolo agli occhi dei riguardanti. Nel caso specifico, sotto accusa era una colonna che continuava a sprofondare nonostante i rinforzi realizzati: giacché era manifesto che la ragione verace della depressione della colonna, e dell’avvallamento del piano all’intorno, era la mancanza di solidità nelle fondamenta. La navata di sinistra era un poco più larga di quella di destra e gli archi gotici delle volte erano stati tamponati per motivi estetici da archi romani a tutto sesto andando ad aumentare i pesi sulle fondazioni incriminate. Nonostante ciò l’unica immagine d’insieme che chi scrive queste righe conosce, cioè l’incisione di Giuseppe Meloni del 1839, ci presenta una bella chiesa in stile gotico romanico. Affascinante e decisa. La scelta però fu quella di demolirla quasi interamente. Nuovo impianto, nuovo aspetto, nuove luci, nuova disposizione e nuova facciata. Secondo le esigenze culturali estetiche e liturgiche del momento. Con qualche critica e vivaci recriminazioni.
Per la realizzazione della nuova chiesa fu bandito un concorso il cui testo delineava le esigenze generali lasciando però grande libertà al progettista. Il bando, compilato nella residenza episcopale, fu firmato da Vincenzo Stanislao Tomba (vescovo, presidente), Antonio Reggiani (arcidiacono), Luigi Paulucci De’ Calboli (gonfaloniere), Santo Agelli (canonico), Pietro Scanelli (canonico), Raffaele Albicini e Pietro Guarini (deputati). I progetti sarebbero stati presentati in forma anonima ma con un “motto” di riconoscimento che avrebbe collegato tutte le tavole. Solo al termine delle valutazioni effettuate dalla commissione sarebbe stata aperta la busta con il nome del vincitore. Ultima data per la presentazione degli elaborati: 15 agosto 1840.
Quattro furono i progetti proposti: “Amor Patrie”, “Dilexi decorem domus tuae”, “Veniam pro laude peto”, “D’ogni bell’arte non sei madre o Italia?”. Ma poiché tutti avevano ottemperato alle richieste del bando, il vescovo forlivese decise, saggiamente, di inviarli a Roma perché fosse l’Accademia di Santa Lucia (Accademia delle Arti della Pittura, della Scultura e del Disegno – di cui fu presidente anche Antonio Canova) ad esaminarli e a decidere il vincitore. La poca diversità di idee spinse la commissione a scegliere il progetto migliore nella convenienza, nelle proporzioni generali e parziali, nello stile ed uso della buona architettura. Risultò vincitore all’unanimità il progetto “Veniam pro laude peto”. Il progettista era Giulio Zambianchi, un giovinetto appena tornato a Forlì dopo aver concluso gli studi proprio a Roma. Il secondo e il terzo posto fu conquistato da tecnici forlivesi ben più conosciuti e navigati: Giacomo Santarelli e Giuseppe Pani. Ciò fece scaturire abbondanti critiche e dicerie che misero in discussione le qualità del vincitore e l’operato di Roma. Gli stessi “sconfitti” ebbero modi di formulare viva disapprovazione.
Il progetto del giovane architetto aveva difetti che la commissione non mancò di sottolineare nella relazione finale. La forma basilicale a tre navate con colonne corintie si trova bene applicata, e con buone proporzioni nel tutto e nelle parti. Non piacciono per però le porte laterali incontro ad una colonna della nave media, sebbene avvisata e discussa dall’autore: né i pilastrini dorici sotto le cantorie. […] La facciata, sebbene di buono stile, non risulta conveniente ad una Cattedrale di cospicua città: mentre la disposizione del progetto avrebbe presentato modo di renderla più grandiosa. Nella parte esterna laterale si vedono conservate le linee e lo stile. Il giovane architetto forlivese dimostrò grande disponibilità. Nonostante l’aggiudicazione già messa agli atti, decise di mettere mano alle porte laterali e con grande intelligenza tecnica, e una buona dose di ruffianeria, sostituì la facciata con una nuova realizzazione ispirata nientemeno che al Pantheon d’Agrippa di Roma (Brunelli, Zoli). Le varianti furono nuovamente proposte all’esame della commissione che approvò decretandone quindi la completa idoneità.
Il direttore dei lavori fu lo stesso architetto Giulio Zambianchi mentre il contratto di demolizione fu stipulato con i capi mastro Giacomo Croppi e Giovanni Pinchetti. Nella primavera del 1841 la demolizione fu conclusa non prima di aver messo in sicurezza le cappelle della Madonna del Fuoco e della Ferita. Pronti erano anche gli scavi del colonnato della futura splendida navata centrale. Il vescovo Vincenzo Stanislao Tomba posò la prima pietra il 3 maggio 1841. Un giorno non scelto a caso. Il 3 maggio è il giorno consacrato all’invenzione della Croce.
Nel 1863 Pompeo Randi affrescò la parete absidale alle spalle dell’altare maggiore. Il tema non poteva essere che l’ “Invenzione e riconoscimento della santa Croce”. E sullo sfondo un Pantheon che ripropone in piccolo la facciata del nuovo Duomo. L’altare maggiore, realizzato con marmi antichi trovati durante uno scavo archeologico, in origine era destinato alla basilica di San Paolo fuori le mura a Roma. Fu donato ai forlivesi da papa Pio IX in occasione di una visita nel 1857.
Il 9 novembre 1944 è il giorno in cui i tedeschi abbandonano Forlì. Nella ritirata minarono le “torri” più alte della città. A farne le spese furono la torretta degli Uffici statali, il torrione dell’Acquedotto, la Torre dell’orologio e proprio il campanile del Duomo. Quest’ultimo crollò sopra la cappella di san Valeriano rovinando, tra l’altro, la tavola di Giovanni di Mastro Pedrino che rappresenta il miracolo della Madonna del Fuoco. La cappella fu ricostruita e la lunetta restaurata. Al campanile, la cui costruzione fu eseguita in diversi periodi (a partire probabilmente nel XIV secolo), fu restituita l’altezza originale negli anni Settanta.
Opere Principali
Madonna della ferita
Invenzione e riconoscimento della Croce. Affresco sull’altare maggiore (Pompeo Randi).
Battistero
Crocifisso romanico del XII secolo
Cappella della Madonna del Fuoco
Bibliografia:
Giordano Viroli. Chiese di Forlì. Nuova Alfa Editoriale per Cassa dei Risparmi di Forlì, 1994.
Cenni storici sulla Cattedrale di Forlì scritti da mons. arcid. Domenico Brunelli e continuati fino ai giorni nostri dal can. teologo Angelo Zoli. Stabilimento tipografia Croppi, Forlì, 1882.
Guida per la Città di Forlì. Tipografia Casali. Forlì, 1838.
E. Calzini, G. Mazzatinti. Guida di Forlì. Luigi Bordandini Editore Tipografo, Forlì 1893.
Sivia D’altri. Il Duomo di Santa Croce in Forlì. Guide d’arte e di storia a cura della coop. “Il Laboratorio”. Costa Editore. Realizzata dalla Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì, 2000.
Domenico Brunelli e Angelo Zoli. Cenni storici sulla Cattedrale di Forlì. Forlì, Stabilimento Tip. Croppi, 1862.