DANTE A FORLI’

di Maurizio Tassani

“La terra che fé già lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio, sotto le branche verdi si ritrova”. Opera di Roberto Casadio.

LEGAMI E RAPPORTI FRA DANTE, FORLI’ E I FORLIVESI

La terra che fe’ già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio […]: la terra di cui scrive Dante nel XXVII canto dell’Inferno è Forlì, dove nel 1282 si combatté una famosa battaglia nella quale i ghibellini forlivesi, capitanati da Guido da Montefeltro, massacrarono i mercenari francesi assoldati dal papa.

Nella primavera del 1282 un nutrito esercito costituito in buona parte da soldati francesi al comando di Giovanni D’Appia (Jean d’Eppe) e inviato dal papa Martino IV a conquistare la ribelle Forlì, venne sterminato dalle milizie forlivesi al comando di Guido Da Montefeltro. I forlivesi lasciarono incendiare e saccheggiare agli avversari i borghi di Schiavonia e della Rotta, posti oltre il fiume Montone. Quando le milizie credettero di avere ormai in mano la città, apparentemente deserta, i soldati forlivesi compirono la strage, uccidendo gli avversari a migliaia, quella che Dante definì appunto il sanguinoso mucchio. I nemici morti vennero seppelliti nel terreno su cui oggi sorge Piazza Saffi. Così scrisse Leone Cobelli nella sua Cronaca Forlivese: […] circa duo milia corpi morti, e forono portati dentro de la città, e forono sepelliti in una fossa grandinissima in piacia […]. Gli echi di quell’episodio cruento si propagarono ben presto oltre i confini della Romagna e ruppero la fama di imbattibilità di cui godevano i soldati francesi. L’effetto psicologico fu grande e lasciò un segno indelebile anche nel giovane poeta fiorentino che, molti anni dopo, se ne ricorderà scrivendo quei famosi versi della Divina Commedia. 

Leone Cobelli, Cronache Forlivesi. Manoscritto, sec. XV, Forlì, Biblioteca Aurelio Saffi.

C’è stato un periodo in cui Dante fu, per così dire, di casa a Forlì, anzi, abitò veramente nella nostra città. Scrive a questo proposito Luigi Servolini: “[…] non si può stabilire con certezza per quanto tempo Dante abbia dimorato in Forlì, ma è fuor di dubbio che vi rimase a lungo […] e quindi è naturale che il poeta faccia nelle sue opere numerosi e vari accenni a luoghi e a personaggi della città, oltre ad eternare con versi scultorei il memorabile evento del sanguinoso mucchio. Con tutta probabilità Dante fu per la prima volta a Forlì nel 1303, ospite dei ghibellini Ordelaffi che all’epoca erano i signori della città. A questo proposito Dante scrive, sempre nei famosi versi dell’Inferno, che Forlì […] sotto le verdi branche si ritrova […], perché le branche verdi erano gli artigli del leone rampante che compariva sullo stemma familiare degli Ordelaffi.

A partire dal 1302, Forlì si trovò ad essere il più importante punto di riferimento e di incontro di tutta l’area romagnola per i fuoriusciti guelfi bianchi che erano stati banditi da Firenze. Dante a Firenze era stato, prima accusato di baratteria all’inizio del 1302. Poi, il 10 marzo dello stesso anno, non essendosi presentato per pagare la penale che gli era stata inflitta, venne condannato al rogo e quindi, di fatto, costretto all’esilio. Boccaccio, a questo proposito scriverà: Oh ingrata patria, quale demenzia, qual trascutaggine ti teneva, quando tu il tuo carissimo cittadino […] il tuo unico poeta con crudeltà disusata mettesti in fuga?

Spesso commettiamo l’errore di pensare all’esilio come ad una pena di modesta entità, come un semplice allontanamento dalla propria città. L’esilio invece non era soltanto una mannaia che recideva ogni legame identitario, affettivo, sociale e politico. Mandare qualcuno in esilio nell’Italia del Trecento significava fargli terra bruciata intorno, significava distruggergli il nido, buttargli giù la casa pietra dopo pietra. L’esiliato aveva scarse possibilità di trovare una dimora stabile e sicura, soprattutto nelle vicinanze di Firenze. Un esule non poteva restare a lungo in una delle città limitrofe senza rischiare la vita, le pressioni di Firenze sulle altre città erano molto pesanti e l’ordine di rendere impossibile e malfida la vita dei fuoriusciti era tassativo.

I fuoriusciti fiorentini, e con loro probabilmente anche Dante, cercarono in un primo momento di rimanere nelle vicinanze di Firenze, rifugiandosi nella ghibellina Arezzo ma, il podestà Uguccione della Faggiola, non li accolse di buon grado a causa delle pressioni politiche che gli venivano fatte. Così gli esuli furono costretti a varcare i confini della Toscana. Forlì all’epoca rappresentava il più sicuro rifugio in Romagna per gli esuli ghibellini e per i guelfi moderati.

Lo stemma degli Ordelaffi. Tratto da “Tavole genealogiche delle Famiglie Patrizie Forlivesi Estinte” di Filippo Guarini. Biblioteca Aurelio Saffi, fondo Piancastelli.

Dante, assieme agli altri esuli fiorentini, scese lungo la valle del Montone oltre i confini della Toscana e, di rifugio in rifugio, arrivò in cerca di aiuto e protezione nella roccaforte dei ghibellini Ordelaffi. In particolare, fu Scarpetta Ordelaffi, di cui Dante era un simpatizzante, a dare al poeta ospitalità e lavoro. Il poeta era motivato a stringere amicizia col signore forlivese perché appoggiasse la sperata rivalsa sulla fazione che lo costringeva all’esilio.

Nel 1303, Scarpetta Ordelaffi venne nominato capitano generale dell’esercito ghibellino con il quale combattevano i fuoriusciti fiorentini. Le operazioni militari contro i guelfi neri fiorentini ebbero però un esito disastroso che culminò nella battaglia della Lastra del 20 luglio 1304. Una battaglia che decretò definitivamente la sconfitta dei bianchi e l’ulteriore rafforzamento dei neri, nemici di Dante. Le disavventure di quel periodo, invece di compattare la sventurata compagine dei fuoriusciti, ebbero come effetto l’inasprimento dei rapporti fra gli sconfitti, gli odi violenti e le vendette. Dante, che aveva cercato di far prevalere la voce della ragione e che probabilmente non aveva mai condiviso del tutto la soluzione delle armi, deciderà da quel momento di uscire dalla compagine dei bianchi: la compagnia malvagia e scempia.

Ritratto di Dante attribuito ad Antonio Berti (Faenza, 1830-1912). Forlì, Biblioteca Aurelio Saffi, Fondo Piancastelli.

Dante quindi fu a Forlì nel 1303, ma la sua permanenza in città, non poté essere né quieta né stabile, perché come scrive lo storico Camillo Rivalta, non lo consentivano gli eventi. La situazione politica per i fuoriusciti fiorentini era quantomai instabile e difficile e le speranze di poter fare ritorno in patria si stavano ormai spegnendo. Nel 1310 il poeta toscano venne nuovamente a Forlì. Pare che Dante si trovasse in città nell’ottobre di quell’anno, la sua presenza a Forlì sarebbe da collegarsi questa volta alla discesa in Italia dell’imperatore Enrico VII°. In relazione a  quest’evento Dante, anche in nome della parte bianca di Firenze,  avrebbe scritto, proprio da Forlì, una lettera a Cangrande della Scala per deplorare la cecità dei fiorentini di fronte alla venuta dell’imperatore.

La nomina di Enrico VII ad imperatore, avvenuta nel 1310, fu salutata dai ghibellini italiani, soprattutto romagnoli e toscani, con grande entusiasmo perché riaccendeva in loro quelle speranze che sembravano ormai esser state abbandonate. Allo stesso modo, anche gli esuli Bianchi fiorentini confidarono nell’imperatore per poter fare ritorno nella propria città. L’imperatore era intenzionato a rafforzare la causa imperiale in Italia. L’Italia, come sappiamo, era divisa da guerre e da lotte fra guelfi e ghibellini che avevano visto la nascita di numerose città stato indipendenti. L’intenzione di Enrico VII, che all’inizio cercò di non schierarsi apertamente con nessuna delle parti, era quella di riportare le città italiane sotto il diretto controllo dell’impero.

I fuoriusciti fiorentini, per poter metter fine al loro esilio, esercitarono delle forti pressioni sull’imperatore perché attaccasse Firenze. Secondo lo storico forlivese Flavio Biondo, fu proprio da Forlì che venne inviata la lettera in cui Dante, che si trovava probabilmente alla corte degli Ordelaffi, condannava indignato l’ostilità che i fiorentini avevano ostentato di fronte agli ambasciatori dell’imperatore. Anche questa volta, la fortuna voltò le spalle a Dante e agli altri fuoriusciti perché l’imperatore morì nell’agosto del 1313, vicino a Siena, mentre si apprestava a cingere d’assedio Firenze. Dante non farà mai più ritorno nella sua città e sarà costretto a morire in esilio.

Anche i suoi ultimi giorni di vita e la sua morte sono legati, in un certo modo, a Forlì e ai forlivesi. Siamo nell’estate del 1321, Venezia, che esercitava il monopolio del commercio del sale nell’Adriatico, aveva stretto all’epoca un’alleanza con gli Ordelaffi di Forlì. I ravennati temevano l’occupazione delle saline di Cervia da parte dei veneziani e dei loro alleati forlivesi. Il danno sarebbe stato enorme perché il sale era una merce preziosissima e, in ogni caso, i ravennati non potevano permettersi un nemico potente come Venezia.

A Ravenna, proprio perché Dante aveva sempre intrattenuto ottimi rapporti con i forlivesi, lo scelsero come diplomatico e lo inviarono in missione presso la Serenissima. La missione ebbe successo, Dante riuscì a mettere d’accordo veneziani, ravennati e forlivesi, ma nel viaggio di ritorno, attraversando le paludi di Comacchio contrasse la malaria. Dante morì a Ravenna nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321.

Per approfondire vedi anche:
La Divina Commedia del tipografo Windelin von Speyer – 1477
La Divina Commedia del tipografo Marcolini – 1544
La Divina Commedia “Del Nasone”
La Divina Commedia di 6,5 centimetri
La Divina Commedia su pergamena miniata
Alla scoperta di Dante (mostra)
Zio Paperone, Paperino e Qui Quo Qua in piazza Saffi

Bibliografia:
Albo dantesco. Edito per cura del Bollettino “Il 6. centenario dantesco di Ravenna”, compilato da Giovanni Mesini. Editore F. Ferrari, Roma,1921.
Alessandro Barbero, Dante, Edizioni Laterza. Roma-Bari, 2020.
Giovanni Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, In Opere in versi Corbaccio. Milano, 1965.
Leone Cobelli, Cronache forlivesi, dalla fondazione della citta sino all’anno 1498 , Regia tipografia. Bologna, 1874.
Fabio Lombardi, Storia di Forlì, Il Ponte Vecchio. Cesena, 1996.
A. Mariani, voce Biondo, Flavio, in Enciclopedia Dantesca, Istituto della Enciclopedia italiana Treccani. Roma, 1970.
Chiara Mercuri, Dante. Una vita in esilio, Laterza. Roma-Bari, 2018.
Pierluigi Moressa, La Romagna di Dante. Percorsi del desiderio e della nostalgia, Ed. Foschi. Forlì, 2020.
Camillo Rivalta, Dante e Forlì, Da: Bollettino Il VI Centenario Dantesco, fasc. I, Ravenna, 1921.
Luigi Servolini, Il Dante di Forlì, In Il Trebbo, A. 2, n. 1. Giugno 1942.
Sergio Spada, Gli Ordelaffi signori di Forlì e Cesena, Il Ponte Vecchio. Cesena, 2011.
Augusto Vasina, Voce Forlì, in Enciclopedia Dantesca, Istituto della Enciclopedia italiana Treccani. Roma, 1970.

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