LA GRAMADORA (GRAMOLATRICE)

Umberto Zimelli. La Gramadora. Tempera su cartone. Forlì Pinacoteca civica. Immagine tratta dal sito ibc regione Emilia Romagna.

Gramadora, ovvero gramolatrice: poetica e trasgressiva immagine femminile della più schietta campagna romagnola. Andè a gramadora, spiega il dialettologo Libero Ercolani, significava andare alla veglia delle gramolatrici nelle aie in cui si svolgeva la gramolatura.

La gramola o maciulla era l’attrezzo con cui si pestava, si batteva, si maciullava la parte fibrosa della canapa per trasformarla in prodotto grezzo. Successivamente il canapino la pettinava e la destinava alla realizzazione di corde, sacchi o tessuti, dividendola secondo la qualità. Toccava quindi alle abili mani delle filatrici comporre le matasse che, sbiancate nel ranno (acqua e cenere), sarebbero state pronte per la lavorazione al telaio. La canapa veniva coltivata mettendo in atto la rotazione agraria che scongiurava l’impoverimento dei terreni. Gli steli, radunati in mannelle, venivano immersi per una decina di giorni in appositi maceri riempiti d’acqua. Seguiva la lavatura e l’asciugatura. Con la macadura gli uomini frantumavano gli steli e separavano i canarell dalla corteccia fibrosa. Quest’ultima veniva trasformata in canapa grezza dal lavoro alla gramola della gramolatrice: la gramadora.

Gramola o maciulla. Attrezzo per pestare/maciullare la canapa. Mostra “Per Strada, appunti di toponomastica forlivese” Forlì, palazzo Albertini, 2004.

Andare a gramadora aveva il sapore di festa, di balli, di amore. I giovani aspettavano con ansia il termine della faticosa giornata per dar vita alla celebrazione di un evento. Aldo Spallicci, nel 1912, su Il Plaustro scrive: Nell’aia s‘indugia un’ultima eco d’avemaria. Dall’aia parte l’appello della “sbatulèda” che chiama a raccolta i giovani dalle aie lontane. La grama batte lentamente a legno nudo, secondo il costume, tre colpi, poi sei, poi nove, poi dodici separate da tre battute doppie molto frettolose. La “sbatuleda dla ciameda” si ode lontano due e più miglia. Ed eccoli, pronti al richiamo, i maschi desiderosi di spasso, ed ecco il primo ridacchiare sarcastico fra le gramolatrici. Un vero e proprio rito notturno.

Su Le Incallite Terre di Elio Caruso leggiamo: Con la costruzione dello stabilimento Eridania, sorto a Forlì nel 1900, si iniziò a utilizzare la barbabietola per la produzione dello zucchero, dando luogo a un graduale e progressivo sviluppo di questa cultura, fino a sostituire completamente quella della canapa nella rotazione dei campi. La modernità mise quindi fine alla storia secolare di una figura amatissima, ma diede inizio a un mito, quello della Gramadora: poetica e trasgressiva immagine femminile della più schietta campagna romagnola.

Il ricordo più vivo rimane nelle strofe di una delle più famose canzoni romagnole, scritta da Spallicci e musicata da Cesare Martuzzi: A Gramadora. La città di Forlì le ha dedicato una via.

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