PIERGIORGIO BRIGLIADORI

Piergiorgio Brigliadori al lavoro nella sala “Carte Romagna” oggi a lui intitolata. Foto Nazario Spadoni.

Il giorno 25 maggio 2018 la sala “Carte Romagna” della Biblioteca Saffi di Forlì, un luogo immerso nel fascino delle raccolte Piancastelli, è stata intitolata a Piergiorgio Brigliadori. La targa commemorativa presentata dal sindaco di Forlì Davide Drei reca questo pensiero: Qui per lunghi anni Piergiorgio Brigliadori operò nella silenziosa certezza che la cultura è il dialogo più autentico.

Nato a Meldola il 25 febbraio 1941, Piergiorgio Brigliadori ha conseguito il diploma presso il Liceo classico “Giovan Battista Morgagni” di Forlì e ha frequentato, pur senza portare a compimento gli studi, la Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze con ottimi maestri, tra i quali Eugenio Garin, Francesco Adorno e Cesare Luporini. Nel 1972 vinse un concorso presso la Comunale “Aurelio Saffi” di Forlì, biblioteca che ospita il Fondo Carlo Piancastelli, di cui era allora responsabile Luigi Elleni. Dalla loro collaborazione nacquero i sei volumi degli Inventari delle Collezioni Piancastelli – Sezione “Carte Romagna”, stampati dall’editore fiorentino Olschki nel 1979-1980 nella prestigiosa collana degli Inventari dei Manoscritti delle Biblioteche d’Italia, opera monumentale che ha richiesto di schedare 173.000 carte raccolte in 708 cassette, rintracciare i dati identificativi di migliaia di personaggi, datare ciascun documento.

Rientra in questo inventario di “carte” tutto quanto non rientra nella qualificazione di libro: ossia manoscritti, fogli volanti, ritagli di giornale, opuscoli, cartoline, fotografie, ecc., senza i quali, come scrisse Augusto Campana, «sarebbe in misura gravissima, irrimediabile, mutila la nostra possibilità di ricerca e di conoscenza storica». Si tratta dunque di «uno strumento fondamentale, destinato a durare nel tempo» – sono parole del maestro degli studi montiani Arnaldo Bruni – che, da un lato, ha consentito alla cultura forlivese di riappropriarsi della Piancastelli come patrimonio della città di Forlì e, dall’altro, ha contribuito a rendere il Fondo attrazione di studiosi non solo italiani, ma di ogni parte del mondo, in cerca di documenti e di notizie rare.

La sala “Carte Romagna” della biblioteca Saffi, oggi intitolata a Piergiorgio Brigliadori.

Alla scomparsa di Elleni, Piergiorgio Brigliadori gli è succeduto come responsabile della Sezione Piancastelli della Biblioteca, occupandosi della ricostruzione storica del patrimonio Piancastelli, incarico che ha ricoperto fino alla sua prematura scomparsa il 17 dicembre 2006, divenendone nel tempo il maggiore conoscitore e l’esperto più consapevole «in linea – sostiene Roberto Balzani – con una tradizione di bibliotecari-intellettuali d’altri tempi». Tra le sue curatele più recenti (insieme allo stesso Palmieri) va ricordato il volume Carlo Piancastelli e il collezionismo in Italia tra Ottocento e Novecento, edito nel 2003 per il Mulino, con cui ha inaugurato la collana dei “Quaderni Piancastelli” per la nota casa editrice bolognese.
Tuttavia la parte più cospicua del suo lavoro era rivolta – sia detto senza retorica – agli altri ricercatori non tanto per la disponibilità nel fornire prontamente i documenti richiesti, quanto nel mettere a disposizione il suo metodo di ricerca, capace di ripercorrere a ritroso i meandri di un collezionista come il Piancastelli, le sue conoscenze paleografiche che gli consentivano di decifrare le varie grafie, la sua straordinaria memoria di uomini e fatti.

Il profondo legame di riconoscenza e di affetto con studiosi che frequentavano la Piancastelli è testimoniato dal volume che alcuni di essi hanno voluto dedicargli alla notizia della morte: La biblioteca come servizio. In memoria di Piergiorgio Brigliadori (CLUEB, 2009), a cura del filologo Arnaldo Bruni, autore della edizione critica della Iliade del Monti, e della scrittrice Fausta Garavini, illustre studiosa di Montaigne. Oltre ai contributi critici dei docenti appena menzionati, il volume contiene i saggi dei seguenti studiosi, ben noti sul territorio forlivese e non solo: Andrea Cristiani, Lara Michelacci, Elide Casali, Paolo Rambelli, Luca Frassineti, Emanuela Ercolani, Carlo Poggi, Angelo Romano, Duccio Tongiorgi, Laure Pellicer, Pantaleo Palmieri, Ulisse Tramonti, Roberto Balzani, Renzo Cremante, Lilia Ponzio, Sante Medri.

In conclusione tutto ciò dimostra, semmai ve ne fosse ancora bisogno, l’impronta metodologica e intellettuale che ha lasciato sul territorio cittadino e nella rete culturale nazionale e internazionale una personalità erudita e rigorosa qual è stato Piergiorgio Brigliadori: uno studioso del tutto alieno da ogni protagonismo e narcisismo, ma che, proprio per questo, deve rientrare a pieno titolo nel novero dei “forlivesi illustri”.

Il sindaco Davide Drei, Arnaldo Bruni, Roberto Balzani, Fausta Garavini.

All’intitolazione della sala, il giorno 25 maggio 2018, erano presenti il sindaco di Forlì Davide Drei, l’assessore alla cultura Elisa Giovannetti e i professori Roberto Balzani, Arnaldo Bruni e Fausta Garavini. Per approfondire la conoscenza di Piergiorgio Brigliadori mettiamo a disposizione la dichiarazione della prof.sa Garavini e il discorso del prof. Bruni tenuti nell’occasione, che ci sono pervenuti grazie alla collaborazione del dott. Matteo Zattoni.

Il titolo del volume che Arnaldo Bruni ed io dedicammo a Piergiorgio Brigliadori, “La biblioteca come servizio” (2009), dice bene, ci parve, in che modo Piergiorgio svolgeva la sua funzione nei tanti anni in cui fu responsabile della Biblioteca Piancastelli. Ma parlare di lui come di un bibliotecario, per quanto eccezionale per competenza e disponibilità, è assolutamente riduttivo. Era un vero intellettuale, provvisto non solo di grande cultura ma delle doti essenziali per uno studioso, capace di mettere a fuoco i problemi, di porsi le domande giuste, di stabilire i collegamenti opportuni e pertanto di orientare nel modo più proficuo la ricerca. Queste doti ha sempre messo generosamente, con schiva ma appassionata cortesia, a disposizione di quanti frequentavano le sale della Piancastelli, accompagnandoli nel loro lavoro con il suo imprescindibile aiuto. (Fausta Garavini)

Sappiamo tutti perché siamo qui, ma è bene ricordarlo per sottolinearne il significato. Siamo qui per ricordare la figura di un amico scomparso fisicamente il 17 dicembre 2006, ma ancora vivo per tutti noi: perché chi è amato, diceva Emily Dickynson, non muore mai davvero. Schivo e modesto, Piergiorgio era lontano da ogni forma di narcisismo. L’esempio colpiva allora e riesce straordinario oggi, nella dilagante egolatria alimentata dai social media e in particolare da facebook. Tutto risolto nel servizio, cioè nel dovere di ufficio, era solito mettere a disposizione degli studiosi i materiali del Fondo Piancastelli con un esercizio di democrazia costante, tanto che per lui la richiesta di un giovane sconosciuto valeva come il quesito del professore in cattedra. Per questo ben 17 studiosi gli hanno reso omaggio in una pubblicazione che doveva essere festosa, cioè salutarlo in occasione del pensionamento, e che invece si trasformò in una sorta di dolente testimonianza in morte, “La biblioteca come servizio. In memoria di Piergiorgio Brigliadori”, a cura di A. Bruni e F. Garavini, Bologna, Clueb, 2009. Il numero dei collaboratori all’opera dice molto sul polo attrattivo costituito da Piergiorgio e dal suo lavoro, nel quadro di un’attività orientata a garantire l’efficienza di un luogo di ricerca indispensabile.
Vale la pena perciò di rammentare velocemente le tappe della sua carriera. Entrato nella biblioteca Piancastelli nel 1972, a seguito di un concorso, Piergiorgio lavorò con il responsabile del Fondo Piancastelli, Luigi Elleni, un profugo istriano, di pochi studi (aveva conseguito solo la licenza elementare), ma di profonda competenza, secondo le caratteristiche di molti bibliotecari del tempo, magari privi di laurea ma divenuti esperti grazie a un impegno speso sul campo, animati per giunta da una generosa idea di cultura. Elleni fu il vero maestro di Piergiorgo che molto lo ammirava. Dalla loro collaborazione nacquero i sei volumi degli “Inventari delle Collezioni Piancastelli-Sezione Carte Romagna”, Firenze, Olschki, 1979-80. Si tratta di un lavoro straordinario, per qualità e quantità, che riflette tutto l’impegno dei due provetti autori. Incoraggiati dalla consulenza di Emanuele Casamassima, i due amici si avventurarono in un lavoro ben descritto dall’aritmetica elementare dichiarata nell’Avvertenza del primo volume: furono aperte 708 cassette, censiti “173.000 documenti per un totale di carte che si avvicina al milione e che hanno dato origine a circa 100.000 schede”. Sono numeri da spavento per l’impegno soggettivo. Sotto il rispetto oggettivo l’opera consente di prefigurare il ruolo della collezione, come deposito attivo, aperto al futuro della ricerca. I libri del resto, si sa, hanno una loro biologia, nascono e possono anche morire se diventano inutili. Non è di sicuro questa la sorte di un catalogo come quello della Piancastelli, destinato a resistere al tempo, senza perdere funzionalità nella durata: garantisce perciò la riconoscenza continua nei confronti degli autori da parte di chi avrà l’opportunità di consultarlo.
L’altro lavoro a cui il suo impegno rimane legato è il volume commemorativo dedicato al fondatore materiale del Fondo, “Carlo Piancastelli e il collezionismo in Italia tra Otto e Novecento”, a cura di Piergiorgio Brigliadori e Pantaleo Palmieri, Bologna, Il Mulino, 2003 (è il primo della serie dei Quaderni Piancastelli): sono gli Atti del Convegno del 26-27 novembre 1998. Emerge a tutto tondo nel libro la figura eccezionale di un protagonista come Carlo Piancastelli (1867-1938) che con la sua illuminante scelta di collezionista sagace ha saputo superare la barriera che divideva le grandi vicende della storia e della cultura rispetto alla realtà quotidiana di ogni genere, riconosciuta degna e paritaria nell’attenzione nonostante la diversa gerarchia. In questa ottica rientravano non solo le testimonianze della tradizione alta, dunque letteratura, arte, e musica, ma anche la diversità delle medaglie o il contesto umile delle cartoline illustrate, delle ceramiche e degli ex libris: ai quali vanno aggiunti ancora, senza per questo esaurire l’elenco, i manifesti e i ritagli di giornale. Un universo intero insomma, costituito da un perimetro molto ampio, viene adunato nel pozzo di san Patrizio del Fondo, in cui l’intero è rivisitato in ‘orizzontale’, come osservano Piergiorgio e Pantaleo Palmieri nella presentazione del volume, perché la dimensione totale è capace di dischiudere ai vari livelli il patrimonio della grande civiltà romagnola.
Le collezioni appaiono insomma, a guardar bene, come un’opera compiuta, che fuoriesce dalle misure temporali degli anni Trenta, e può essere riconosciuta nella sua novità soltanto oggi, alla luce delle moderne forme dell’informatica. A questo punto è inevitabile per me inserire un ricordo personale, scusandomi per l’autocitazione, ma si sa, è esperienza di tutti, quando si parla degli amici, riferirsi necessariamente anche a se stessi. Ricordo che nella relazione di servizio di quel convegno, “Il Fondo Piancastelli come deposito della Scuola Classica Romagnola: dalla conservazione alla innovazione”, mi capitò di definire il Fondo Piancastelli come un “ipertesto” ante litteram, nell’intento di segnalarne la straordinarietà appena definita per sommi capi. In margine a questa definizione nacque l’idea di un progetto magari temerario, tanto che non ha avuto poi possibilità di realizzazione, ma che occupò Piergiorgio e il sottoscritto, coinvolgendo anche l’assessore della cultura di allora, Giovanni Tassani: con l’intenzione, beninteso, di rivolgersi alla Regione Emilia-Romagna. L’idea era di dare vita ai vari livelli della collezione Piancastelli, in particolare con il proposito di trasformare in complesso armonico le varie opportunità offerte dal Fondo. Si pensava dunque di dare vita ai materiali conservati, cioè far risuonare la musica degli spartiti, di animare la voce della poesia dei manoscritti, di disporre le immagini in un percorso organico e così via. In quella occasione Piergiorgio si adoperò da par suo, come sempre aveva fatto, cercando di sensibilizzare le istituzioni locali ai problemi della biblioteca e alla sua valorizzazione.
Allo stesso modo, Piergiorgio era stato al mio fianco, in veste di attivo e indispensabile collaboratore, in occasione della presentazione dell’edizione critica dell’Iliade, poco dopo la sua uscita nel 2000. Ci fu in quella circostanza una mostra molto importante curata da Piergiorgio Brigliadori, con l’ausilio di Antonella Imolesi, della quale mostra si rimpiange di non avere a disposizione il catalogo a stampa perché si trattava di un contributo di prim’ordine alla conoscenza della Scuola Classica Romagnola.
Mi è capitato in questi giorni, frugando nei ricordi, di ritrovare una lunga lettera di Piergiorgio in cui mi assicurava del suo fattivo impegno per procurare i finanziamenti allo scopo di sostenere la pubblicazione dell’Iliade, prefigurando già un piano per la mostra che poi ebbe luogo. In questa lettera c’è un piccolo inciso che dipinge al vivo la sua personalità: dichiarando di voler fare la sua “parte” nel progetto, aggiungeva tra parentesi: “(per quel che vale)”. Nell’incidentale c’è tutto Piergiorgio, modesto fino auto-annullamento del suo ruolo. Invece il suo aiuto fu molto importante anche per ottenere i finanziamenti necessari alla stampa perché, contro quello che dava a intendere, era ascoltato e stimato, come tutti sappiamo.
Consentitemi infine qualche concessione alla memoria personale. Quando nel 1972 avviai per conto del Centro di Filologia dell’Accademia della Crusca il lavoro di edizione dell’Iliade, mi capitò subito di scoprire a Forlì l’importanza de Fondo Piancastelli, Conobbi allora in prima battuta il vice-direttore del tempo, Vittorio Mezzomonaco. Fu Vittorio a istradarmi all’inizio nei meandri del Fondo e a presentarmi Piergiorgio. Con ambedue nacque un vivo rapporto di amicizia, alimentato da interessi comuni e dai trascorsi che immediatamente si rivelarono fruttuosi. E ad ambedue devo la segnalazione di lettere inedite che poi pubblicai su “Filologia e critica” nel 1977. Nel caso di Piergiorgio il rapporto fu probabilmente favorito successivamente dai suoi trascorsi fiorentini (a suo tempo si era iscritto a Firenze, alla Facoltà di lettere e filosofia) e poi dalle circostanze pratiche: ogni volta, e furono parecchie, che venivo da Firenze a Forlì per consultare i manoscritti, dopo averli studiati alla Biblioteca Nazionale Centrale in prestito, era Piergiorgio a farmi grata compagnia, pronto a soddisfare con sollecitudine generosa ogni richiesta. Nacque così un’amicizia in crescita progressiva fino a divenire uno dei rapporti personali più ricchi della mia esperienza di vita, proprio perché fondato su passioni comuni e concresciuto su progetti concepiti insieme. Non mancava in quel sodalizio la consapevolezza di una passione civile autentica: lavorare per la cultura significava per noi rendere onore, attraverso un impegno diretto, al Paese che noi intendevamo servire nel nostro piccolo, nell’ambito modesto ma non certo inutile della ricerca applicata.
Su molti aspetti della nostra amicizia, s’intende, è prudente tacere per non infrangere quella forma di riservatezza personale, alla quale Piergiorgio molto teneva. Credo però che sia opportuno concludere queste riflessioni con due spunti strettamente collegati alla circostanza di oggi. La quale per trovare piena realizzazione oggettiva dovrebbe perlomeno proporsi due obbiettivi pratici. Il primo riguarda la persona di Piergiorgio, tenendo presente il nuovo status professionale conseguito dai bibliotecari oggi in Italia. I bibliotecari infatti non sono più ormai i militi ignoti di una battaglia silenziosa e sconosciuta al pubblico. Hanno un loro rango di spicco, vengono considerati e studiati giustamente come protagonisti di cultura. Bastano a comprovare la novità sopraggiunta alcuni libri usciti proprio in questi anni dedicati a esponenti illustri della categoria che dimostrano l’importanza del loro servizio. Elisabetta Francioni ha pubblicato una monografia su Luciano Bianciardi bibliotecario della Chelliana di Grosseto nel 2016, Rossano De Laurentiis ha scritto di Guido Biagi, bibliotecario della Laurenziana, in un volume uscito nel 2017. Ancora, Mauro Guerrini ha dato alle stampe un libro intitolato “De bibliotecariis”, che riguarda grandi figure di bibliotecari dell’Ottocento e del Novecento, uscito ancora nel 2017. Non basta, esiste in rete, promosso dall’Associazione bibliotecari italiani, un “Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo”. Credo che a Piergiorgio tocchi di diritto una scheda che ne illustri il profilo in questa opera collettiva e mi impegno ad adoperarmi perché il proposito possa essere tradotto in ‘voce bibliografica’. Questa, diciamo è la parte che tocca agli amici e agli estimatori: e me ne assumo senz’altro la responsabilità.
Ma un altro compito, ancora più importante, riguarda gli Enti Locali e le Istituzioni di Forlì, ai quali spetta l’obbligo di sostenere e dare lustro rinnovato alla Biblioteca “Saffi”, un vero gioiello che colloca Forlì per lo spicco dell’istituzione accanto alle più importanti biblioteche di conservazione italiane. Solo questa determinazione permette di attribuire valore autentico alla cerimonia di oggi, così toccante per la partecipazione dei familiari e degli amici e per la presenza delle autorità, il sindaco Davide Drei e l’assessora Elisa Giovanetti, che meritano la più profonda gratitudine. Non solo un gesto di doverosa memoria pubblica, dunque, ma l’indice di un’attenzione rinnovata a rivitalizzare l’istituzione per la quale Piergiorgio, come altri già ricordati, Vittorio Mezzomonaco e Antonella Imolesi, hanno speso il loro lavoro. È questo, credo, il modo migliore per onorare un protagonista come Piergiorgio, mantenendo attiva e funzionante la Biblioteca “Saffi”, in servizio della città di Forlì e, ancor più, della cultura italiana.
Forlì, 25 maggio 2018, in occasione della scoperta di una targa commemorativa per Piergiorgio Brigliadori: “Qui / per lunghi anni / Piergiorgio Brigliadori / operò nella silenziosa certezza / che la cultura / è il dialogo più autentico”. (Arnaldo Bruni)

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