LA TARDURA

di Marino Mambelli

La “Tardura”, profumata minestra della tradizione romagnola.

Chi abita in Romagna e non conosce la Tardura ha l’obbligo morale di aggiornarsi. E ne vale veramente la pena. Il piatto è straordinario. Semplice, accogliente e veloce. Si tratta di una ricetta antica condivisa probabilmente con la Toscana. Tomaso Gazzoni da Bagnacavallo la cita nel XVI secolo come Terdura.
Ormai si è persa l’abitudine di prepararla come piatto tradizionale nel periodo pasquale: forse per la sua semplicità di esecuzione. A volte si crede che la complessità di realizzazione equivalga alla bontà e alla qualità del prodotto. Non è così. Offritela ai vostri ospiti, rimarranno affascinati dal profumo della noce moscata e dal coinvolgente sapore di casa. Se potete usate un brodo di carne buono.

Si tratta di una minestra di pane grattugiato con uova e Parmigiano. Il significato del nome è tritura e lo si fa derivare dal Latino tardo: tritura, l’atto del triturare, cosa triturata. Il dialettale Tardura è senza dubbio il suo nome più caratteristico e accattivante, ma la si può trovare indicata anche in italiano come Stracciatella o Panata. E’ citata nel Dizionario romagnolo Ercolani alla voce Tardura così come nell’Etimologico Casadio dell’Istituto Friedrich Schurr, mentre il Dizionario Romagnolo Quandamatteo, di area riminese, non contempla né TarduraPanata.

Gli ingredienti per preparare la “Tardura”

Pellegrino Artusi la chiama Panata. Questa minestra – scrive da Firenze il famoso forlimpopolese – con cui si solennizza in Romagna la Pasqua d’uovo, è colà chiamata Tridura, parola della quale si è perduto in Toscana il significato, ma che era in uso al principio del secolo XIV, come apparisce da un’antica pergamena. L’antico documento citato dal nostro conterraneo era legato ad una pratica ufficiale di patronato che consisteva nell’inviare ogni anno alla casa dei frati di Cafaggiolo (FI) un catino di legno pieno di tridura. Sul catino, per completare l’omaggio, venivano poste delle verghe di legno che sorreggevano dieci libbre di carne di porco guarnite d’alloro.

La Tardura era presente sulle tavole dei contadini in occasione delle nascite e veniva offerta ai debilitati dalle malattie per rimetterli in forma. Nell’occasione prendeva il nome di minestra degli ammalati. A San Piero in Bagno era in tavola nei pranzi di Pasqua e aveva un nome che portava allegria e speranza: si chiamava minestra degli sposi o anche uovo filato per il filo che l’abbondante formaggio formava quando si portava il cucchiaio alla bocca. E’ così buona che tra le mura delle antiche case di Santa Soffia veniva chiamata Minestra del Paradiso.

Le ricette

L’impasto della “Tardura”.

Pellegrino Artusi la inserisce nel famoso volume L’Arte di Mangia Bene. E la ricetta n.11. Così la presenta: Tutto s’invecchia e si trasforma nel mondo, anche le lingue e le parole; non però gli elementi di cui le cose si compongono, i quali, per questa minestra sono:

Pane del giorno avanti, grattato, non pestato, grammi 130
Uova n. 4
Cacio Parmigiano, grammi 50
Odore di noce moscata
Sale un pizzico

Pare però che la ricetta dell’Artusi non sia la più seguita. Durante i secoli ogni famiglia ha elaborato una proporzione personalizzata degli ingredienti e nelle case dei forlivesi il Parmigiano ha preso il sopravvento sul pane. La ricetta della Tardura che troviamo nelle immagini a corredo di questa voce di Forlipedia è stata realizzata con la ricetta che segue.

Per 4 persone
4 uova
70 grammi di pane grattugiato
150 grammi di Parmigiano Reggiano grattugiato
noce moscata
sale
brodo di carne

Il procedimento:
Prendere un contenitore e amalgamare tutti gli ingredienti per formare un composto compatto. La noce moscata e il sale vanno aggiunti secondo il gusto personale.
Scaldare il brodo e quando sta per arrivare a ebollizione versare l’intero contenuto nel tegame. Durante la cottura mescolare per separare parzialmente la minestra. Pochi minuti sono sufficienti per giungere a cottura. Servire calda. Buona Romagna.

Bibliografia:
Libero Ercolani. Nuovo Vocabolario Romagnolo Italiano, Italiano Romagnolo. Edizioni del Girasole. Ravenna, 1994.
Gilberto Casadio. Vocabolario Etimologico Romagnolo. Associazione Istituto Friedrich Scurr. Editrice La Mandragora. Imola, 2008.
Gianni Quondamatteo. Dizionario Romagnolo Ragionato. Tipolito La Pieve, Villa Verucchio (FO) 1983.
Pellegrino Artusi. L’Arte di Mangiar Bene. 108° ristampa. Giunti Marzocco 1960.
Vittorio Tonelli. A Tavola con il Contadino Romagnoli. Grafiche Galeati Imola, 1986.

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