Giovanni Tassani. Sui tempi appena trascorsi, Esperienze, connessioni, dettagli. Una Città. Forlì, settembre 2023.
Nel volume sono raccolti testi realizzati dall’autore nell’arco di 25 anni: dal 1998 al 2023. Il testo che segue è interamente tratto dalla premessa.
Fili nella storia e sonde nella memoria
Venticinque anni sono parte cospicua di un’esperienza di vita.
Gli scritti riuniti in queste pagine datano dal 1998 al 2023 e segnano interessi, esperienze, tracce di ricerca volti a sottolineare fatti e problemi che ho via via scelto o che si sono a me rivelati come campi di studio nei tempi della mia compiuta maturità. Ciononostante è facile in essi riconoscere predilezioni che datano alla mia giovinezza di universitario, secondo il principio per cui Karl Mannheim definiva tra i venti e i venticinque anni l’età in cui la personalità fissa il proprio carattere.
Quell’età avevo quando, nella primavera del 1968, chiamato a parlare nella mia città, Forlì, del movimento degli studenti, cui a Trento attivamente partecipavo, mi trovai di fronte a dei giovanissimi, prevalentemente liceali, che proprio a seguito di quell’incontro confermeranno di aderire a quella fiammata generazionale. Quel giorno non mi resi conto di esser stato concausa di una tal scelta: lo venni a sapere solo vent’anni dopo, quando Gianni Saporetti, in una pubblica serata con dibattito, volle fare il mio nome ponendolo all’origine, in un momento cruciale, della scelta sua e dei suoi amici.
Mi presentai allora a Gianni e da allora data un’amicizia che si è posta ovviamente oltre la linea di un originario impegno giovanile, nel segno invece della riflessione, e in parte dell’auto-critica, delle rispettive posizioni post-’68.
Le esperienze di “Una Città”, della Fondazione Levin, della Biblioteca Gino Bianco, si pongono ormai da tempo come segni di superamento di un antagonismo militante, oltre che culturale, in cui quei già giovanissimi si erano, nel post-’68, a lungo impegnati. Mentre essi scelsero in gran parte l’esperienza di Lotta Continua, prevalsa anche tra i miei compagni a Trento, io viceversa andavo già allontanandomi dal movimento che per me stava ormai prendendo una piega ideologica e partigiana.
La fotografia che ho scelto per la copertina di questo libro mi ritrae, emblematicamente, in un gruppo di “operai e studenti uniti nella lotta”, a Trento, il 1° maggio 1968. Fu quella l’ultima volta di una mia partecipazione attiva al movimento, motivata anche dall’indignazione per l’attentato, pochi giorni prima, a Rudi Dutschke, leader non estremista degli studenti tedeschi, ad opera di un neo-nazista, che lo rese invalido. Certo Lotta Continua era meno totalizzante di altri gruppi, lasciando respirare un po’ di anarchica libertà, ma era proprio questo che non mi convinceva. Avevo allora trovato nella lettura della “Rivista Trimestrale”, e nella critica di Franco Rodano al limite anarchico presente in Marx – sussunto invece dal movimento radicalizzato degli studenti quasi come “assalto al cielo” verso il “regno della libertà – una chiave interpretativa più realista che giustificava il mio permanere “a sinistra”, pur senza “appartenenze”, in una visione dialogica e meno ideologica possibile. Ero approdato a Trento con una visione del movimento studentesco di tipo sindacal-laburistico, che le occupazioni del ’66 e ’67 mi parevano confermare, e in questa chiave ero stato eletto alle ultime elezioni dell’organismo rappresentativo trentino, il 14 maggio ’67, e poi designato presidente del consiglio di facoltà, cioè dell’assemblea generale, destinata a divenire l’organo diretto, superante la rappresentanza studentesca, delegata, nei tanto criticati “parlamentini”. Spettò quindi a me presiedere la storica, e interminabile, assemblea generale che il 31 gennaio ’68 dichiarò, per mia voce, e con votazione plebiscitaria, il passaggio di “tutto il potere all’assemblea”. Svolsi il mio compito con moderazione e determinazione, che mi furono da tutti riconosciute, ma mi resi contestualmente anche conto che eravamo ormai tutti trascinati in una grande fiumana in cui le regole avrebbero contato meno delle “ragioni” dei leader più o meno “carismatici”. Spinti a richiuderci in spazi sempre meno comunicanti con l’esterno, avremmo progressivamente sentito risuonare soprattutto l’eco delle nostre supposte certezze.
Qualche mese dopo, a settembre, a un convegno di sociologia presso l’Istituto Luigi Sturzo a Roma, dovetti convenire con Paolo Farneti, incaricato di Sociologia politica a Torino, prematuramente scomparso, che il linguaggio del ’68, ormai tributario degl’imperanti francofortesi, era denso di romanticheria schilleriana, e in questo non utilizzabile per modernizzare l’Italia.
Il mio ruolo dopo la laurea fu molto indirettamente quello di sociologo: nel periodo dell’istituzione delle Regioni, trovai un ruolo nella formazione professionale, allora ancora frequentata da molti giovani e anche inserita, con le 150 ore, direttamente nel mondo del lavoro. Il contatto pluriennale diretto con quei giovani credo abbia favorito in me la comunicazione chiara ed essenziale di fatti e concetti. L’ambiente associativo – non da Bund – e ancora vitale delle Acli garantiva una continuità tra cattolicesimo sociale e spinte giovanili e operaie, e il riformismo emiliano-romagnolo ben si prestava al dialogo. Di più: a Bologna due realtà attirarono subito la mia attenzione e la mia vocazione a scrivere e indagare; entrai così in redazione della rivista “Il Regno”, nell’ambito delle Edizioni Dehoniane, e mi legai in amicizia con Arturo Parisi, in Università e poi in redazione de “Il Mulino”, nel periodo di sua direzione tra anni Settanta e Ottanta. Palestre entrambe ove la riflessione e l’orizzonte del dialogo prevalevano, in anni problematici e di contrapposizione anche violenta, anche nella pacifica città felsinea, specie attorno all’esplosione del ’77, col suo neo-linguaggio ribellistico da replica non riuscita del ’68.
Negli anni Ottanta la storia prevalse definitivamente in me sulla sociologia. Ebbi modo, a Roma, di collegare il progetto, allora agli esordi, “Archivi del Novecento”, alle Acli, sovrintendendo al riordino del loro Archivio nazionale e costituendo ad hoc l’Istituto Achille Grandi. Con l’Istituto Luigi Sturzo partecipai a seminari tesi alla salvaguardia degli archivi dei partiti che stavano proprio in quegli anni ondeggiando: anni dopo salvai così, con alcuni amici, l’archivio della Dc di Forlì, ove era custodito, grazie all’ordine e allo scrupolo di un impiegato, il più ricco deposito di pellicole di propaganda Dc presente nel paese; ciò che rese possibile all’Istituto Sturzo la loro digitalizzazione e programmazione televisiva.
Scorrendo l’elenco dei miei studi chi legge potrà rendersi conto degli argomenti da me scelti e privilegiati: scritti con curiosità e una qualche empatia verso le diversità, le minoranze, le eccezioni e i terreni poco esplorati, quasi nuotando, più che controcorrente, fuori dalle correnti prevalenti. Ho potuto fruire, in diverse occasioni, dell’amicizia sincera di persone più grandi di me che mi hanno dato opportunità di crescita, aperto piste e donato idee e documenti. Ricordandole con affetto ho cercato di fare altrettanto con giovani dalla sicura passione e vocazione alla ricerca.
Nella mia città ho avuto la fortuna e l’opportunità di estendere i miei interessi storico-culturali con la scoperta di due straordinari archivi: nel 1991 quello dei Paulucci di Calboli, poi nel 2002 quello di Walter Ronchi, sull’esperienza delle riviste del Guf forlivese. Due depositi inesplorati di notizie, fatti storici e culturali di importanza nazionale e, per i Paulucci, internazionale. Con la scoperta del Fondo Dreyfus ritornai in contatto con “Una Città” – è la prima intervista qui pubblicata – e mi si apersero, per richiesta del direttore Francesco Perfetti, le porte di “Nuova Storia Contemporanea”, la nuova rivista che intendeva proseguire la lezione storiografica di Renzo De Felice. Accettai la proposta, convinto che la linea interpretativa defeliciana dell’Italia novecentesca, allora ancora tacciata dalla storiografia di sinistra come “revisionista”, aprisse viceversa nuovi e originali spazi interpretativi nella storia italiana, fascismo compreso. Analogamente a quanto compiva, in originalità e profondità, il mio amico Gianni Baget Bozzo nello scavo storico in tema di Chiesa, movimento cattolico e Democrazia cristiana.
Ho avuto la soddisfazione di battere per primo terreni quasi inesplorati, a destra come a sinistra, di approfondire fatti salienti come nel caso del ritiro di Giuseppe Dossetti dalla politica a partire dai due “misteriosi” convegni di Rossena, di porre a confronto carte tra loro interrelate in archivi diversi – di Felice Balbo e Franco Rodano ad esempio – di scoprire nella mia città inediti sull’affare Dreyfus e la giovanile “Commedia della gente”, di Italo Calvino. Ma ho poi frequentato il mondo “diverso” delle destre, in particolare giovanile e in fase creativa, accettando di far parte anni dopo di un progetto, “Archivi delle destre”, con la Fondazione Ugo Spirito – Renzo De Felice, teso a salvaguardare carte e memorie di quel settore della politica italiana.
Di tutto questo, e di molto altro, mi sono occupato nei miei libri e saggi maggiori. Ma tempo fa mi sono anche chiesto dell’uso possibile di tanti miei scritti giornalistici, dopo aver ripreso in mano un corsivo di Alfonso Berardinelli, amico e collaboratore di “Una Città”, proprio su “Avvenire”, cui anch’io collaboro da oltre vent’anni, così come in passato con “Conquiste del Lavoro”, per diversi anni quotidiano della Cisl (caso unico, credo, almeno in campo nazionale). Ho allora pensato di riunire per argomenti anche alcuni di questi scritti giornalistici, dietro ai quali – anche nel caso di recensioni – ho sempre ragionato in termini critici e di ricerca.
Perché ho scelto il richiamo, in copertina e nelle foto centrali, al ’68? Certo non per nostalgia e patetico giovanilismo, semmai come tratto unificante la mia esperienza e quella degli amici di “Una Città”. Ma soprattutto perché anche la memoria di quella stagione deve esser mantenuta viva, come ogni tratto della complessa vicenda storica, culturale e politica non solo italiana. Oggi, in tempi di cancel culture, prosperante in un campo sedicente “progressista”, dovremmo ricordarci come in passato si volesse invece, in un altro campo, “cancellare il ‘68”. Chi voleva, e vuole, questo non può che essere definito, per analogia, “regressista”: non liberale, non democratico, e neppure sanamente conservatore, ma solo – per l’appunto – reazionario. Un tipo antropologico, anche questo, oggi largamente presente sul campo intossicato del nostro Occidente.
La grande disponibilità dell’ambiente di “Una Città”, cui mi lega ormai un rapporto di collaborazione in tema di “digitalizzazione” di riviste e archivi, ha reso possibile questo mio desiderio di raccogliere in libro scritti altrimenti difficilmente reperibili. Ringrazio sentitamente e particolarmente Gianni Saporetti, che mi ha intervistato più volte in questi anni sempre con curiosità intellettuale e vera professionalità. Ringrazio anche due amici come Paolo Martini, giornalista di vasta esperienza e sensibilità culturale, e Domenico Guzzo, che unisce professionalità storica, archivistica e tecnologica, per aver letto in anteprima i testi ed avermi dato utili consigli in vista di questa pubblicazione. Un ringraziamento anche all’amico Giovanni Mami, della cui perizia grafica mi avvalgo per l’ottimizzazione delle fotografie che corredano i libri da me scritti o curati.
Forlì, 1° maggio 2023
INDICE GENERALE
Fili nella storia e sonde nella memoria 7
Interviste
Dreyfus e il diplomatico italiano 15
Quei giovani, amici e intellettuali, di “Cultura e realtà” 27
L’eterno e il linguaggio dei tempi: Gianni Baget Bozzo 39
Un’altra tradizione: viaggio nella multiforme cultura bianca 53
Liberalismo, fascismo, nazione
Una rivista di donne interventiste 67
Roberto Michels, italiano per vocazione 75
Umberto Zanotti Bianco e “La Voce dei Popoli” 79
Stefano Jacini e il magistero di Croce 83
Jacini e De Gasperi, libertà e storia 87
Quattro occhi da Roma su Predappio, città di fondazione 91
Anni Venti, politica estera italiana e sistema internazionale 95
La politica estera italiana e il suo storiografo 99
Giovani e generazioni
La riscoperta di tre riviste Guf 105
Italo Calvino inedito a Forlì 113
Un critico diciottenne: Testori 123
“Gioventù Italica” e il giovane Eugenio 127
La generazione della ricostruzione 129
I giovani in movimento: gli anni Sessanta 141
Trento, crocevia del ’68, e la sua memoria universitaria 155
Trento a cinquant’anni dal ’68. La protesta giovanile come patrimonio 159
Intervista sulla Nuova destra 163
Gli Hobbit dopo trent’anni 175
Crescere, partendo da destra 177
Cultura e società
Intellettuali cattolici e Novecento: il caso italiano 183
Julien Green testimone del secolo e dell’invisibile 197
Una grande amicizia: Jacques Maritain e Gino Severini 205
Profilo intellettuale di uno scrittore di teatro: Diego Fabbri 209
Turi Vasile, dal Teatro Guf dell’Urbe ai Comitati civici 225
Tradizione e reazione: l’altro dissenso di fronte al Concilio Vaticano II 231
Lorenzo Bedeschi, dal giornalismo alla storia del modernismo 251
Nicola Chiaromonte, un libertario contro la “mala-fede” 255
Una sofferta continuità: Antonello Trombadori si confessa 259
Franco Rodano: con Paolo e Ignazio, oltre Marx 261
Del Noce, Rousseau, Rosmini e la modernità 265
René Rémond, uno storico laico e cristiano 269
Un Mulino che macina da cinquant’anni 271
Democrazia cristiana e dintorni
Tappe ed eredità di un’esperienza politica 279
Il riformismo in un paese ancora agricolo: Segni e De Gasperi 301
Luglio 1951, una crisi: quando De Gasperi rimproverò Andreotti 305
Dossetti e la liquidazione del “dossettismo” 309
La temperie fiorentina: La Pira e il “Giornale del Mattino” 313
Mario Scelba, un costruttore e un bersaglio 317
L’unità della Dc come prius: Aldo Moro degasperiano “inclusivo” 321
Lucca 1967, quando la Dc parlò di cultura 325
“Settegiorni”, una palestra cristiano-sociale 327
Una bibliografia
Scritti di carattere storico-politico di Giovanni Tassani in ordine cronologico 331
Indici
Indice dei nomi 341
Indice generale 3